ASSALTO IN DIVISA: LA VERITà SULLA BANDA DELLA UNO BIANCA | Cronaca Nera
Scopri la terribile storia della Banda della Uno Bianca, una vicenda di cronaca nera in Emilia-Romagna (1987–1994) che sconvolse l’Italia: rapine, omicidi e agenti di polizia coinvolti.
CRONACA NERA


Dal 1987 al 1994 una serie di azioni criminali — rapine, agguati armati e omicidi — colpì soprattutto le province di Bologna, Rimini e Pesaro, estendendosi anche in altre aree dell’Emilia-Romagna e delle Marche. I fatti erano caratterizzati da elevata violenza: spari su pattuglie, esecuzioni di portata apparentemente organizzata e fuggitive rapide a bordo di automobili riconoscibili, tra cui una Fiat Uno di colore bianco che divenne simbolo della vicenda e diede il nome alla banda.
Le indagini portarono alla scoperta di una verità destinata a suscitare indignazione nazionale: i capi e diversi esecutori degli eccidi erano in servizio nelle forze di polizia. Tra i nomi principali emersero i fratelli Roberto e Fabio Savi, affiancati da altri complici, alcuni dei quali anch’essi agenti o in ruoli collegati alle forze dell’ordine. Complessivamente alla “Uno Bianca” sono attribuiti decine di episodi — in varie ricostruzioni si parla di oltre cento azioni criminose — con un bilancio di circa 24 persone uccise e più di cento feriti.
Chi erano e come operavano
La banda agiva con modalità consolidate: ricognizioni, attacchi rapidi e militarmente preparati, impiego sistematico di armi da fuoco anche di grande potenza e fuga in auto. L’uso ripetuto della Fiat Uno bianca e l’apparente coordinamento fra i componenti creavano impressione di organizzazione. Molti episodi miravano a rapine e assalti ai caselli autostradali, a uffici postali o a portavalori, mentre altri assalti bersagliavano pattuglie di polizia o carabinieri, amplificando il senso di minaccia verso cittadini e istituzioni.
I motivi sottesi alle azioni — secondo quanto emerso nell’istruttoria e nei processi — furono prevalentemente materiali (profitto da rapine) ma si accompagnarono a dinamiche di dominio, insofferenza rispetto alle regole e un uso sistematico e spregiudicato della violenza. La presenza di agenti tra i responsabili ha sollevato interrogativi su coperture, omissioni e ritardi investigativi.
Svolta investigativa e arresti
La svolta arrivò nel novembre 1994, quando, in un arco di pochi giorni, furono effettuati arresti decisivi. Il 21 novembre venne catturato Roberto Savi mentre si trovava in servizio; nei giorni successivi fu fermato anche Fabio Savi, durante un tentativo di fuga. In seguito seguirono gli arresti degli altri presunti componenti e collaboratori. Le indagini furono condotte da procure locali con il supporto di équipe investigative che ricostruirono collegamenti, modalità operative e responsabilità.
Processi, condanne e risarcimenti
I procedimenti giudiziari portarono a condanne severe: per i principali imputati — tra cui i fratelli Savi e alcuni complici — furono inflitte pene fino all’ergastolo, mentre altri partecipanti riportarono condanne detentive di diversa entità, comprese sentenze concordate. Lo Stato fu altresì coinvolto in cause civili e in risarcimenti alle famiglie delle vittime, a seguito della responsabilità accertata per gli atti compiuti da pubblici agenti.
Impatto sociale e questioni aperte
La scoperta che membri delle forze dell’ordine avessero organizzato e commesso omicidi e rapine provocò una fortissima crisi di fiducia. La vicenda alimentò dibattiti su controlli interni, selezione del personale, prevenzione di abusi e possibili depistaggi investigativi. Numerose inchieste giornalistiche, documentari e lavori di ricerca hanno cercato di ricostruire non solo i fatti giudiziariamente provati ma anche le lacune procedurali e le zone d’ombra che hanno reso più difficile una ricostruzione rapida e completa.
Resta inoltre aperto il tema delle relazioni tra i membri della banda e ambienti estremisti o altre reti: ipotesi e suggestioni sono state oggetto di esame, ma la ricostruzione giudiziaria si è concentrata sulle responsabilità individuali e collettive emerse dai processi.
Perché questa storia è ancora importante
La Banda della Uno Bianca non è solo una pagina di cronaca nera: è un monito su come il potere e l’autorità possano essere distorti se non accompagnati da adeguati controlli e da una cultura istituzionale trasparente. La vicenda ha segnato vittime e famiglie che hanno ancora bisogno di memorie rispettate e risposte istituzionali efficaci. Comprendere quel periodo significa anche consolidare pratiche di prevenzione per evitare il ripetersi di analoghe degenerazioni.


